27 febbraio 2014. Attualmente il quadro normativo dei reati ambientali è contenuto nel codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006) che sostanzialmente prevede reati di pericolo astratto, cioè legati al superamento di valori soglia per le sostanze inquinanti, puniti a titolo di contravvenzione.

La Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge Micillo-Realacci-Pellegrino che conferma quanto previsto nel Codice dell’ambiente, aggiungendo però altre fattispecie delittuose da inserire in un nuovo Titolo (VI bis) del Codice Penale intitolato Dei delitti contro l’ambiente.

Il delitto di inquinamento ambientale (art. 452-bis), punirebbe con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 100.000 euro la compromissione o il deterioramento rilevante delle matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque o aria), dell’ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna selvatica. All’art. 452 ter si definisce il concetto di disastro ambientale, intendendosi un’alterazione dell’ecosistema irreversibile o la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa; oppure l’offesa all’incolumità pubblica determinata dalla vastità della compromissione o dal numero di persone offese o esposte a pericolo. La pena va dai 5 ai 15 anni.

Il delitto di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività (art. 452-quinquies) verrebbe punito con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro ed è concepito come reato di pericolo: la pena è aumentata di un terzo quando si verifica l’evento della compromissione o del deterioramento dell’ambiente, mentre in caso di pericolo per la vita o l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.

In caso di condanna o patteggiamento per uno dei nuovi delitti ambientali, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo le spese per tali attività a carico del condannato e, in caso di sua insolvibilità, delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie.

In caso di condanna o patteggiamento sia per i nuovi delitti ambientali, sia per associazione a delinquere (tanto comune quanto mafiosa) finalizzata alla commissione di delitti ambientali, è prevista la confisca dei beni e, in caso di impossibilità, quella per equivalente.

L’art. 1, comma 4, modifica l’art. 32-quater del codice penale estendendo ai nuovi delitti, con l’esclusione di quello di impedimento del controllo, l’incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione in caso di condanna. Al comma 5 è previsto per i nuovi delitti il raddoppio dei termini di prescrizione.

La proposta di legge ora al vaglio del Senato sembra dunque intenzionata ad affrontare il tema dei danni all’ambiente e alla salute delle comunità coinvolte in maniera efficace, diversamente da quanto previsto, ad esempio, nel c.d. decreto Terra dei Fuochi tutto incentrato sul delitto di combustione di rifiuti, implicante la flagranza di reato per l’ultimo anello della catena, senza nulla prevedere rispetto alla provenienza dei rifiuti finiti nel ciclo illegale di smaltimento. È da sottolineare poi l’insistenza sul principio “chi inquina paga”, esplicitato nei provvedimenti di confisca e negli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili, così come l’attenzione alla connessione tra danno ambientale e danno alla salute, nel momento in cui i nuovi reati si sostanziano non solo nell’offesa concreta arrecata ma anche nell’esposizione a pericoli per l’incolumità delle comunità che risiedono nei siti inquinati.
A questo proposito va ricordata la particolare difficoltà di dimostrare in tribunale il nesso causa-effetto tra danno all’ambiente e danno alla salute, laddove andrebbe presa in considerazione l’azione inquinante avvenuta anche solo nella consapevolezza di esporre la popolazione semplicemente ad un rischio.

Peccato che l’Italia sia il paese in cui si trovi l’inganno già prima di fare la legge. La scorsa settimana infatti è stato approvato l’art. 4 del decreto Destinazione Italia, ebbene, nella sua forma originaria, il testo prevedeva che, nei Siti di interesse nazionale per le bonifiche, i proprietari o i soggetti interessati potessero stipulare con lo Stato accordi di programma per la bonifica o piani di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo. Inizialmente, la critica all’articolo in questione si era focalizzata soprattutto sulla violazione del principio “chi inquina paga” rispetto al finanziamento pubblico delle bonifiche; l’approvazione dell’emendamento Realacci aveva poi “affievolito” questi effetti prevedendo che i finanziamenti fossero indirizzati non alla bonifica ma ai piani di nuova industrializzazione o riconversione produttiva. Bisognerebbe però capire che differenza faccia per il bilancio di un’impresa inquinante accollarsi le spese della bonifica del sito una volta saputo di poter contare su finanziamenti pubblici per nuova produzione; in ogni caso si tratta di rimpinguare le casse di imprese che dovrebbero invece scontare una cattiva gestione dei processi di produzione ai danni dell’ambiente e della salute.

Tuttavia, ciò che maggiormente viene in rilievo alla luce di quanto in discussione sull’introduzione dei nuovi delitti ambientali nel Codice Penale è che il vero obbiettivo dell’art. 4 del decreto Destinazione Italia, ora legge, è proprio quello di aggirare gli effetti delle nuove norme in discussione; in particolare: l’impossibilità di contrarre con la Pubblica Amministrazione in caso di condanna per i nuovi delitti ambientali, l’inasprimento delle pene, nonché gli obblighi rispetto alle bonifiche e al ripristino dello stato dei luoghi. Il punto 4, art. 4, del Decreto Destinazione Italia prevede infatti che i soggetti interessati possono accedere agli Accordi di Programma anche se responsabili della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e bonifica, riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo purché i fatti che hanno causato l’inquinamento siano antecedenti al 30 aprile 2007; praticamente stiamo parlando della totalità dei fatti inquinanti commessi nei SIN.

Ma non basta: il punto 6 dell’art. 4 del decreto destinazione Italia prevede che «l’attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall’accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo».

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Delitti ambientali: in Parlamento l’inganno arriva prima della legge