Nicolosi, 13.01.2015 – Durante i lavori del corso di aggiornamento professionale per geologi tenutosi a Palermo il 19 dicembre 2014, ho avuto modo di apprezzare l’intervento di Vittorio D’Oriano, Vicepresidente del Consiglio Nazionale dei Geologi sul tema: “Il geologo consulente tecnico in ambito forense”. Ho quindi richiesto al collega D’Oriano una nota scritta del suo intervento in quanto credo che in alcuni passaggi abbia centrato il tema. Ritengo che determinati concetti, etici prima che professionali, debbano essere veicolati a quanti come me si adoperano in qualità di CTP o CTU presso i tribunali italiani e pertanto ho deciso di pubblicare la nota integrale di D’Oriano sul blog.
Buona lettura.
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IL GEOLOGO CONSULENTE TECNICO IN AMBITO FORENSE
Venerdì 19 Dicembre 2014
ore 8.30 – Camera di Commercio – Sala Terrasi
Palermo
Intervento di Vittorio d’Oriano
Vice Presidente del Consiglio Nazionale Geologi
La consulenza tecnica per il Giudice, per il pubblico Ministero, per le parti civili, per parte attrice o convenuta, per il giudice nei procedimenti civili, come Presidente o componente di un Collegio Arbitrale in procedimenti extragiudiziali, è atto di una delicatezza assoluta che implica non solo scienza, ovvero il sapere, le capacità e l’esperienza professionale ma anche coscienza, nell’accezione che vuole questo termine intimamente legato alla “sensibilità morale” ovvero alla capacità di valutare la rispondenza delle proprie azioni e dei propri comportamenti a determinati valori morali.
Perciò, tanto per entrare subito in argomento, mi sento di poter e dovere affermare che quanti non hanno l’abitudine di approfondire davvero gli argomenti, scavando in profondità anche negli aspetti che sono o sembrano marginali, di capirli senza altro pregiudizio se non quello di interpretare correttamente la realtà, la realtà geologica o dei fatti, indipendentemente da chi gli abbia dato l’incarico, che non possiedono senso critico, che non hanno l’umiltà di considerare e valutare disinteressatamente quanto viene proposto da altri, che non hanno la convinzione ferma di bene e fedelmente adempiere alle funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità, e “last but not least”, coloro che non hanno la forza o pensano di non avere la forza e la determinazione di non corrispondere alle suggestioni e alle pressioni che talora troviamo lungo il nostro cammino, anche in questo campo, ebbene questi dovrebbero astenersi dall’assumere incarichi di giustizia sia come periti di parte che, a maggior ragione, come CTU o consulenti del giudice.
E’ per questo che io ritengo che la consulenza tecnica in ambito legale non dobbiamo, né possiamo intenderla, come un lavoro uguale a tutti gli altri. Nella misura in cui essa contribuirà a che il Giudice deciderà della libertà di un individuo, della sua onorabilità, ovvero inciderà sul suo patrimonio e sulla sua stessa storia professionale, e con esso inciderà anche nella vita dei familiari, voi capite che proprio in virtù di questo, l’approccio a questo tipo di attività non possa avvenire alla leggera.
Due questioni di carattere generale che ritengo importanti. La prima è che dobbiamo sempre aver ben presente, mi riferisco alle consulenze per organi giurisdizionali, che nello svolgimento del compito affidatogli, il consulente partecipa all’esercizio della funzione giudiziaria e deve pertanto assolvere ai suoi compiti nel rispetto dei principi di terzietà e imparzialità che connotano quella funzione. Ciò è garantito non solo dall’estensione al consulente tecnico delle norme disposte per il giudice sull’astensione e sulla ricusazione, dalla prestazione del giuramento, dalle responsabilità civili, penali e disciplinari nelle quali il consulente infedele può incorrere, ma anche e soprattutto, dalla necessità che il consulente svolga le indagini affidategli nel rispetto del principio del contraddittorio, che rappresenta il modo attraverso il quale si attua il controllo delle parti sull’operato del consulente. La seconda è che il geologo tratta esclusivamente di territorio che ha le sue leggi che non possono essere mistificate e non possono essere disconosciute. Il rispetto di queste leggi costituisce un imperativo per tutti e particolarmente per il geologo. Come ha ricordato recentemente lo stesso Papa Francesco, Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, l’ambiente mai. Ciò che voglio dire è che fare bene il proprio lavoro è un dovere indiscutibile. Tutte le volte che agiamo superficialmente o poco preparati di fronte ad un problema noi tradiamo quelle leggi. I geologi dovrebbero dotarsi di una sorta di “giuramento di Ippocrate”, un giuramento che li impegni al rispetto verso l’ambiente sul quale l’uomo nasce, vive, si moltiplica.
Se tutto questo è, male fanno le Università, quando formulano l’offerta formativa, a non prevedere qualche credito su questo importante argomento.
Lealtà, correttezza, preparazione, prudenza. Giusto in quest’ordine, quattro concetti che diventano parole d’ordine indispensabili e non altrimenti declinabili per il geologo che voglia svolgere queste funzioni, da tenere sempre a mente e servire fedelmente senza compromessi.
La lealtà che guarda caso deriva dal latino legalitas, indica una componente non già del carattere come qualcuno dice e scrive ma, piuttosto, un modo di vivere e di operare. Una persona sceglie di obbedire a particolari valori di correttezza e sincerità anche in situazioni difficili; anche quando è lui stesso a perdere qualcosa. Facile a
dirsi, difficilissimo a farsi. Ed è cosi desueto che chi si attiene a questo principio ha difficoltà grande ad essere preso sul serio.
In una società come la nostra dove appare più moderno ed apprezzato primeggiare destreggiandosi come funambuli nella via tortuosa della precarietà, dove impera l’agonismo esasperato, l’apparire, o l’adattarsi alla vorticosa velocità delle trasformazioni culturali per il raggiungimento dell’esclusivo benessere personale, anche a scapito dei nostri simili, quella della lealtà può sembrare una virtù personale antiquata, certamente sembra essere in forte declino.
Eppure, se vogliamo sperare in un futuro migliore per il poco tempo che ci separa dall’ultimo tramonto, come è nel mio caso, o per i nostri figli e nipoti che ne hanno di fronte innumerevoli, dobbiamo augurarci si possa recuperare tutti un po’ di questo valore che discrimina le persone perbene dagli altri, una società davvero civile e democratica da una “non società”.
Nella fattispecie di cui stiamo parlando la lealtà si esplica intanto nei confronti dell’argomento che richiede la nostra risposta. Un approccio inappropriato o insufficiente, per nostra ignoranza o peggio per superficialità, e mai sia per difendere interessi non legittimi di qualcuno, ci conduce sempre verso conclusioni errate. E sulla nostra coscienza graverà non solo il nostro errore ma quello che anche inconsapevolmente abbiamo indotto negli altri.
La correttezza che qualcuno potrebbe ritenere sinonimo della prima ma che ha in se almeno tre radici: nel linguaggio che deve essere privo di errori, nel comportamento verso gli altri perché se ne abbia rispetto e si usi la buona educazione, nella vita perché è indispensabile siano rispettate le regole e le leggi anche quelle che possono apparire sciocche o vetuste. E anche questa se intesa come valore è particolarmente desueta.
Ad un qualsiasi consulente si richiede la perfetta correttezza nei confronti della scienza e degli interlocutori. C’è invece chi si innamora delle proprie conclusioni e magari le sostiene oltre l’insostenibile. Vi è in molti una sorta di egoismo/orgoglio scientifico e tecnico: io sono bravo, tutti gli altri sono nullità. Un atteggiamento purtroppo molto più diffuso di quanto non si creda che fa male a tutti compreso ai tempi di giudizio che si allungano a dismisura perché le tesi formulate, anche le più assurde e strampalate, vanno comunque smontate.
La preparazione. Ovvero la scienza e l’esperienza. Ma se quest’ultima si forma con lo stesso dipanarsi della vita, in questo caso vita professionale di un individuo, che fa tesoro e analizza il suo operato anche a posteriori, la prima, la scienza, il sapere è frutto di studio, di riflessione, di applicazione e di aggiornamento. Io so bene che le nostre Università non preparano convenientemente gli studenti ad approcciarsi al mondo ed all’attività professionale ma è anche vero che la nostra è una professione in divenire perciò spetta a ciascuno di noi essere aggiornato con i tempi nella materie che più ci interessano e nelle quali operiamo.
Questa della insufficiente preparazione è purtroppo una casistica molto diffusa e di per se non è fatto negativo giacché nel mondo di oggi non è pensabile essere ferrati in tutte le diverse materie che rientrano nel mondo molto ampio delle scienze della terra. E’ negativo laddove si sia chiamati a discriminare su una frana piuttosto che della comparsa di sistemi fessurativi complessi in strutture o ancora della perdita di acqua in un pozzo o in una sorgente senza avere conoscenze specifiche di geomorfologia, di geotecnica o di idrogeologia.
La prudenza che non è semplicemente una delle quattro virtù cardinali ma una delle virtù che hanno permeato la morale occidentale sin dall’antichità, in specie quella romana. La prudenza è quella virtù che dispone l’intelletto all’analisi accorta e circostanziata del mondo circostante. Essa, lo ha scritto San Tommaso D’Aquino riproponendo Aristotele, non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione.
Aprite la televisione e sintonizzatevi per dieci minuti con uno solo dei tanti talk show che sembrano andare per la maggiore e ditemi quale potrà essere il futuro di tanti giovani a cui si insegna di fatto la prevaricazione, la violenza verbale, addirittura la sopraffazione.
Eppure in tanti disastri cosiddetti naturali o provocati dall’azione sconsiderata dell’uomo, che spesso ha rasentato l’arroganza della conoscenza, se soltanto si fosse applicata con più rigore questa virtù oggi non conteremmo lutti. Voglio farvi un esempio: i bacini di decantazione della miniera di Prestavel, a Stava, in Trentino Alto Adige. Due bacini artificiali con argini in terra costituiti prevalentemente dalle scorie di lavorazione del minerale estratto, con angolo di scarpa superiore ai 60°. Costruiti in tempi diversi, uno sull’altro in un luogo chiamato Pian della Pozza. L’argine di ritenuta del bacino superiore poggiava su quello inferiore. Un tecnico serio che fosse andato sul posto, intendo dire camminato su quegli argini e nelle aree circostanti, avrebbe certamente rilevato gli innumerevoli segni di equilibrio limite di tutto il complesso. Ma nessuno fece nulla. E alle 12.25 del 19 luglio del 1985 crollò l’argine a monte che provocò la rottura dell’argine più a valle e l’immensa colata di fango e detriti, valutata in oltre 160.000 m3, che ne seguì distrusse il paese di Stava e il fondo della valle omonima. Morirono 268 persone. 62 edifici e 8 ponti furono distrutti.
So bene che si fa presto a parlare a cose fatte ma non credo di dire una emerita sciocchezza se affermo che se coloro i quali avevano responsabilità di controllo avessero applicato il principio della prudenza il prossimo anno non celebreremmo il 30° anniversario di una delle pagine più tristi e buie della tecnica italiana.
Desidero qui precisare che servire il Giudice o una parte, solo apparentemente ci mette su piani diversi. Il Giudice ci affida un incarico che noi accettiamo con una formula di giuramento e la parte ci chiama perché di noi si fida, in questo caso non sono necessari atti formali se non la comunicazione che i legali devono fare per farci stare appieno titolo nel procedimento, ma nella sostanza non vi è differenza fra l’uno e l’altro.
A parte gli incarichi di consulenza che dovessero venire da una Procura, siamo quindi nel campo delle indagini penali, che non potremmo rifiutare salvo la sussistenza delle ragioni di cui all’art. 36 del cpp1, tutti gli altri possono essere rifiutati motivatamente e il primo motivo di rifiuto dovrebbe essere, per l’appunto, l’avere consapevolezza della nostra personale insufficiente preparazione nei confronti dell’argomento in discussione. Se, tanto per fare un esempio, uno non sa di idrogeologia e la ragione del contendere rientrasse in quest’ambito meglio sarebbe passare la mano: per rispetto agli attori del problema, per rispetto alla scienza, per rispetto alla nostra professione ed alla stessa categoria cui apparteniamo.
Quanti errori di giudizio sono stati commessi perché il CTU era poco o punto preparato sulla disciplina specifica? Purtroppo tantissimi.
E’ infatti molto diffusa la convinzione che “in qualche modo” si riesca a sopperire alla personale ignoranza2. Ora se questo può essere vero nella quotidianità dove c’è anche il tempo di studiare e di fatto colmare il “gap” di conoscenza specifica, in una causa questo tempo non c’è ma, cosa ancora più grave, non sapremmo neanche cosa cercare, cosa osservare, come valutare, quali indagini specifiche chiedere o eseguire, che domande fare ad eventuali testimoni, come restituire le informazioni assunte e come presentarle al giudice. E’ un errore questo, tanto diffuso quanto grave. Tanto più grave secondo il ruolo che svolgiamo: se CTU avremmo una capacità notevolissima di influenza sul giudicante, se consulente di parte non potremmo servire al meglio il nostro cliente. Per non dire dei rapporti con i colleghi presenti che, in specie nella cause civili o penali che siano, sono sempre agguerriti e decisi a far prevalere la loro tesi anche, talora, a scapito della verità oggettiva. A questo proposito non sto mettendo in discussione il diritto alla critica e l’avere un diverso convincimento sto mettendo in discussione la pratica, molto diffusa, della denigrazione del collega pur di avere ragione 3.
Così quando qualcuno vi chiama, prima di consigliare di intentare una causa si dovrebbe studiare il problema sotto ogni aspetto ed esporre preventivamente le nostre convinzioni al possibile cliente perché faccia la cosa più giusta. Non sempre una causa è necessaria e talvolta, anche in presenza di ragioni che sembrano oggettive, forse vale considerare e proporre altri tipi di soluzione se i tempi prevedibili per l’evoluzione della causa possano ragionevolmente essere previsti in molti anni.
Io cominciai una causa con un signore di quasi ottanta anni e l’ho terminata con i nipoti 16 anni dopo!!!
Altro aspetto che pochi considerano contribuendo così a fare una grande confusione in tutti è che i nostri interlocutori, avvocati piuttosto che procuratori della repubblica o giudici ci chiamano perché ad essi manca la capacità di dipanare un problema squisitamente tecnico che solo esperti di quella materia possono garantire. E’ quindi particolarmente importante fare attenzione al linguaggio che si usa e alla semplicità di esposizione affinché anche chi non ha dimestichezza con la materia possa comprendere appieno le nostre considerazioni. Nel dipanarsi della causa e degli accertamenti è indispensabile arrivare ad un convincimento personale motivato e razionale delle conclusioni. Si assiste spesso, al contrario, ad un atteggiamento di rimessa teso solo a far vincere la propria parte piuttosto che servire la verità.Come certamente saprete la geologia non è scienza esatta almeno nella accezione comune di questo termine. E’ anche vero però che i margini di indeterminatezza che ancora permangono su varie questioni della nostra professione si sono notevolmente ridotti negli ultimi anni. Oggi per esempio abbiamo tutta una serie di ausili un tempo impensati che raffinano di parecchio le nostre conclusioni; basta pensare ai sistemi informatici oppure alla interferometria da satellite o da terra che ci consente di avere visioni particolari e di analizzare nel dettaglio pareti rocciose e rilievi fino a ieri irraggiungibili. Insomma oggi disponiamo di mezzi innumerevoli che ci consentono di rispondere ai quesiti che ci vengono posti con un discreto margine di sicurezza.
Un’altra questione. Mai vergognarsi dei dubbi. Può accadere infatti che nell’esame di una situazione particolarmente complessa e difficile permangano dei dubbi. E’ corretto che il consulente illustri questi dubbi sotto tutte le angolature. Far finta che non esistano o di non averne è la premessa per sbagliare e indurre gli altri in errore.