Catania, 2011
L’Italia cade letteralmente a pezzi. Cinquecentomila sono le frane censite. Il 70 per cento del territorio nazionale è a rischio idrogeologico, per un totale di 5mila 581 Comuni. Da Nord a Sud in quasi tutte le regioni è elevatissimo il rischio sismico. Sono numeri che rispuntano fuori, dopo ogni calamità. Ribadirli dovrebbe suonare quasi banale. Eppure il governo Berlusconi, in barba a qualsiasi politica di prevenzione, ha deciso di chiudere i tre quarti dei dipartimenti universitari di geologia in Italia.
È la conseguenza della riforma universitaria del ministro Gelmini. Dopo la riduzione degli stanziamenti e un piano straordinario per il rischio idrogeologico mai veramente partito, ora la scure viene calata sulla ricerca. «In questo modo – è l’allarme che lancia Gian Vito Graziano, presidente dell’Ordine nazionale dei geologi italiani – si rischia di raggiungere un punto di non ritorno. Si smette di salvaguardare il Paese dai grandi rischi e si preferisce rincorrere le emergenze».
La scomparsa dei Dipartimenti universitari di Scienze della terra è molto più di una semplice possibilità. I tagli saranno esecutivi già a ottobre, con la partenza del nuovo anno accademico. La riforma Gelmini, approvata lo scorso dicembre, impone infatti che un dipartimento universitario possa esistere solo se raggiunge un tetto minimo di docenti. Nel caso il numero degli insegnanti è inferiore a 40, l’ateneo è costretto a decretarne la chiusura e a imporre l’accorpamento ad altre facoltà. Dal momento che in Italia i dipartimenti di Scienze della Terra hanno in media non più di 12-15 docenti, il tetto minimo non sarà sicuramente raggiunto nei tre quarti degli atenei italiani. Ciò implica dunque l’obbligo dell’accorpamento. Che significherebbe perdere l’autonomia finanziaria, dividersi le briciole dei stanziamenti ministeriali con facoltà e dipartimenti molto più grandi e quindi dover ridurre drasticamente anche il numero dei corsi di laurea in Scienze della Terra.
Si rischia dunque di azzerare la ricerca, nonostante la geologia italiana rappresenti a livello internazionale un vero e proprio settore di eccellenza. Secondo l’agenzia internazionale di ranking scientifico Scimago, le Scienze della terra italiane, per pubblicazioni e qualità della ricerca, si posizionano al nono posto (in una classifica che comprende oltre 200 paesi) dietro al Giappone e alla Germania e davanti a paesi come l’Australia, la Svezia, l’Olanda e la Spagna.
Secondo l’Ispra, l’Istituto di ricerca che fa capo al ministero dell’Ambiente, i danni prodotti dalle calamità naturali sono quasi sempre almeno dieci volte superiori alla spesa che si sarebbe sostenuta se ci fosse stata una politica di prevenzione.
In Sicilia ad esempio, per la frana Giampilieri si sono spesi almeno 550 milioni di euro per appena sei ore di pioggia. Ammontano invece a 30 mila miliardi i danni provocati da calamità naturali negli ultimi 20 anni. E il minimo della sicurezza si raggiunge nelle scuole e negli ospedali: secondo la Protezione civile è a rischio il 46 per cento degli edifici scolastici e il 41 per cento dei nosocomi. Il 60 per cento delle abitazioni, invece, sono state costruite prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica del 1974.